Referendum giustizia. L’opinione di Alessandro Singetta (Avvocato – Comitato “Si-Separa” Potenza)

digiema
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Il referendum sulla separazione delle carriere tra P.M. e giudici si sta trasformando, com’era facile prevedere, in un referendum sul governo.
Da un lato i partiti di opposizione (PD, M5S, AVS) a favore del “No”, dall’altro i partiti di governo a favore del “Si”.
Anche se c’è qualche crepa, soprattutto sul fronte del No.
Tra gli iscritti e gli attivisti del PD c’è qualcuno che si sta distaccando dalla linea tracciata dalla segretaria nazionale, forse ricordando che questa è una battaglia che spesso ha visto anche esponenti di primo piano di quel partito a favore della separazione delle carriere (che, non dimentichiamolo, era uno degli obiettivi del padre del nuovo codice di procedura penale, Vassalli, nonchè della Bicamerale presieduta da D’Alema, naufragata per la forte opposizione dell’ANM).
Certo, quando i temi che riguardano la giustizia – che dovrebbe essere patrimonio di tutti, politici e, soprattutto, cittadini – diventano oggetto di scontro politico, non è mai un buon segnale.
Purtroppo, lo scontro tra politica e magistratura non è un fatto recente e non è giusto neppure farlo risalire alle vicende legate all’inchiesta c.d. “tangentopoli” del 1993; bisogna andare molto più indietro nel tempo, almeno al 1966 in cui venne votata la Legge Breganze (seguita nel ‘73 dalla c.d. “Breganzina) in base alla quale basta entrare in magistratura come uditore per avere la certezza (a meno di improbabili se non impossibili eventi avversi) di fare carriera fino al grado di magistrato di Cassazione, anche senza aver mai svolto quelle funzioni né esercitato quel ruolo.
La nostra Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo, ma è difficile dissentire da chi – come il prof. Tullio Padovani – ironizza e definisce l’Italia una Repubblica fondata sull’esercizio dell’azione penale, in cui – a ben guardare – la sovranità appartiene ai pubblici ministeri.
Che, è forse inutile ricordarlo, come tutti i magistrati, anche se sbagliano, anche se rovinano vite, famiglie e carriere, non pagano mai.
Come non pagano – neppure dal punto di vista disciplinare – nei caso di ingiusta detenzione (da quanto è entrata in vigore la legge, sono circa 1.000 casi all’anno, che sono costati allo Stato oltre 1 miliardo di Euro di risarcimento danni: a fronte di ciò, limitando l’analisi agli ultimi 7 anni, vi sono state solo 9 sanzioni: 8 censure, ed un trasferimento ancora in atto; ovvero, è stato sanzionato, per di più in maniera lieve, solo lo 0,15% degli errori….).
Ma quali sono gli argomenti a favore del No, propagandati dall’ANM anche attraverso i propri esponenti di punta e più noti sotto il profilo mediatico, quali Gratteri (che ha fatto una figuraccia durante una trasmissione televisiva, attribuendo a Falcone frasi contrarie alla separazione delle carriere in un’intervista che questi non aveva mai rilasciato) o Carofiglio (da tempo dedicatosi solo alla scrittura di libri)?
1) I cittadini saranno più deboli rispetto ad un super P.M. che non cercherà più elementi a discarico.
Ma il P.M. che svolge accertamenti in favore dell’indagato è una leggenda processuale, una previsione inattuata nell’odierno sistema.
2) Il P.M. finirà sotto il potere politico.
Al contrario, la riforma rafforza l’indipendenza del P.M.
E’ scritto a chiare lettere nel nuovo articolo 104 com. 1 della Costituzione: “La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”.
E’ una previsione ben più solida dell’attuale art. 107, com. 4, ma la magistratura finge di non accorgersene, paventando pericoli inesistenti.
Tra l’altro, dopo la riforma Cartabia i passaggi da un ruolo all’altro sono numericamente estremamente contenuti, assolutamente non significativi.
Ed allora, perché l’ANM è scesa in campo con tutto il suo potere e (quasi) tutti i suoi uomini?
Forse la risposta è che, attraverso la legge di riforma costituzionale che prevede due CSM (uno per i PP.MM. ed uno per i magistrati) e l’alta Corte Disciplinare, il suo potere, il potere delle correnti, verrebbe fortemente ridotto.
Come se il caso Palamara non avesse insegnato nulla, mostrando che ai vertici degli uffici giudiziari non sempre arrivano i migliori, ma sempre gli iscritti alle varie correnti.
Il sorteggio, previsto sempre nella riforma, si porrebbe come un efficace rimedio allo strapotere delle correnti (definito il cancro della magistratura, dal capo della Procura di Perugia, Raffaele Cantore) o un centro di potere pieno, oscuro e irresponsabile (secondo Luciano Violante).
La posta in gioco è alta ed è sbagliata la contrapposizione politica; siamo ormai una Repubblica giudiziaria (che fa a pugni con lo Stato di diritto), che ha la forma di un triangolo, ai cui vertici ci sono: il P.M., il quotidiano di riferimento che benedice l’inchiesta e funge da gran cassa mediatica, un partito o qualche politico che ne approfitta in maniera strumentale.
Siamo ancora in tempo a tornare ai valori costituzionali, votando Si alla separazione delle carriere.

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