Referendum Giustizia. L’opinione di Alberto Iannuzzi (già Presidente Vicario della Corte di Appello di Potenza)

digiema
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Sorteggio del CSM e separazione delle carriere: il rischio di una magistratura più permeabile alla politica.

Stavolta il ministro della giustizia Nordio ha colto davvero nel segno: la riforma della giustizia promossa dal Governo Meloni fa comodo non solo all’attuale maggioranza politica, ma anche a quelle che andranno a governare in futuro.
La sua non è certo una voce “dal sen fuggita”, quanto piuttosto un lapsus freudiano.
La politica non ha mai digerito il controllo di legalità che la Costituzione assegna istituzionalmente alla magistratura, perché le ha provocato non pochi grattacapi.
Ed in particolare non ha mai metabolizzato il controllo di legalità svolto dal PM, quello più temuto, perché investe la genesi e lo sviluppo dell’azione penale.
Ed è un controllo doveroso ed ineliminabile, che
si estrinseca attraverso le indagini e che, per intenderci, è diretto a verificare se una notizia di reato sia fondata o meno, se un reato è stato commesso e chi ne è stato l’autore.
Ed è indubbio che le recenti riforme della giustizia stiano ridisegnando un equilibrio che, più che modernizzare il sistema, come vorrebbe far intendere una certa propaganda politica, sembrano voler affrancare la politica da ogni fastidio giudiziario.
Sorteggio dei togati del CSM, separazione delle carriere, ma prima ancora limiti alle intercettazioni e depotenziamento dei reati contro la Pubblica amministrazione.
Si tratta di pezzi diversi di un puzzle coerente, in cui il disegno appare sin troppo chiaro: indebolire il controllo di legalità da parte della magistratura nei riguardi di chi esercita il potere.
Personalmente sono sempre stato favorevole al sorteggio, in particolare all’indomani degli scandali noti come “Palamara” ed “Hotel Champagne”, che, considerati dal punto di vista del magistrato geloso della propria indipendenza, che ha grande rispetto per la politica, ma rifiuta i suoi tentativi di interferenza indebita, vede nel sistema di estrazione a sorte non certamente la panacea dei mali del CSM, ma il rimedio più efficace per combattere il correntismo imperante ed asfissiante.
Tuttavia, avverto oggi il rischio, da sempre in agguato, di un controllo politico del CSM, o per meglio dire, di una maggiore permeabilità dell’organo di autogoverno della magistratura rispetto alle influenze esterne, attente a salvaguardare equilibri estranei alla giustizia. E lo avverto con riferimento alla componente laica, prescelta dal Parlamento, che risente inevitabilmente del peso e dell’invadenza della maggioranza governativa di turno.
A ciò si aggiunge l’incognita della legge attuativa di attuazione del sorteggio, che, qualora fosse “temperato”, potrebbe nella migliore delle ipotesi ridimensionare, ma non certamente eliminare l’interferenza delle correnti all’iinterno del CSM, dispiegandosi soprattutto nelle pratiche politicamente più sensibili, proprio quelle nelle quali occorrerebbe maggiormente salvaguardare l’indipendenza del magistrato.
La separazione delle carriere, poi, che di fatto è già stata introdotta nel nostro ordinamento giudiziario dalla legge Cartabia, rischia di isolare il PM dalla giurisdizione e di farlo scivolare verso l’area dell’esecutivo.
Un pubblico ministero con un proprio organo di autogoverno, distinto da quello dei giudici, con una struttura già fortemente gerarchizzata, potrebbe essere più condizionato e meno libero di svolgere la sua funzione di controllo sull’esercizio del potere.
In verità, non va sottaciuto che questa tendenza del sistema ha origini meno recenti, ma oggi viene accentuata, formalizzata e resa manifesta non solo dall’abolizione del reato di abuso d’ufficio, ma anche dal progressivo depotenziamento degli strumenti d’indagine, in primis delle intercettazioni, nonché da un ipergarantismo, a volte privo di giustificazioni sostanziali.
Questa tendenza, oltre a rendere problematica l’accertamento della verità nel processo penale, produce un effetto collaterale estremamente pericoloso, perché, nel momento in cui diventa parte integrante del sistema processuale, finisce per indebolire anche la difesa sociale contro il crimine organizzato ed i reati dei colletti bianchi.
Tutto ciò viene giustificato dalla narrativa del principio del “primato della politica”, concetto in verità piuttosto elastico, che non può certo significare meno controlli, meno limiti e meno ostacoli per chi esercita un potere.
Il rischio non è un golpe, ma qualcosa di più subdolo: la progressiva normalizzazione di una politica sempre più impermeabile al controllo di legalità.
È la deriva lenta, non rumorosa, che erode i contrappesi e trasforma lo Stato di diritto in una cornice formale.
E alla fine, in un sistema democratico in cui il controllo dell’opposizione risulta a dir poco sterile, la domanda che il cittadino comune si pone è molto semplice:
chi controllerà il potere che devia dai suoi limiti legali quando anche il controllo istituzionale di legalità, svolto dalla magistratura, viene indebolito ?

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